Il curioso caso di Benjamin Button è un’opera che vale la pena di vedere almeno una volta nella vita, ma sono sicuro del fatto che una volta sola non basti. Il film è stato diretto da David Fincher, regista di Mank, uno dei film candidati ai premi Oscar. Ci tengo a precisare che sarà un’analisi molto soggettiva, derivata da mie riflessioni e interpretazioni quanto più personali possibile.
La bizzarra storia di Benjamin Button
Benjamin Button (Brad Pitt) è un bambino nato “vecchio”: un animo curioso, giocherellone come quello di ogni bambino, che vive nel corpo di un anziano. Se per ogni essere umano la vita inizia da bambino, gattonando e con il ciuccio, Benjamin si approccia alla vita su una sedia a rotelle, con l’artrosi e le rughe. Crescendo, il suo corpo ringiovanisce – mentre gli altri invecchiano -, ma la mente segue il normale processo di crescita. Questo, per ovvi motivi, implica uno stile di vita particolare: provate voi a fare le vostre prime esperienze con i capelli bianchi e ad andare in moto a 70 anni, con dei jeans Levi’s e un giubbotto di pelle.
Il curioso caso di Benjamin Button non ha un double plot; le storie, almeno per buona parte del film, sono ALMENO tre: il ricongiungimento con il padre che l’ha abbandonato appena nato, la storia d’amore con Daisy (Cate Blanchett) e le esperienze che affronta completamente da solo.
Il curioso caso di Benjamin Button: la religiosità di Fincher
Spesso, la religiosità è un tema particolarmente complesso da trattare. Questo per i motivi più differenti: dalla delicatezza dell’argomento stesso, alla paura di incappare in situazioni scomode o fraintendibili. In alcune storie, però, credo sia un tema che favorisce notevolmente il processo di riflessione. Voglio prendere questo film come esempio: in una delle primissime scene vediamo una funzione religiosa dove Benjamin si alza dalla sedia a rotelle e compie i suoi primi passi. I presenti ringraziano il frate, pensando ad un miracolo di Dio, ma ciò che succede dopo è incredibile. “Il Signore dà, il Signore toglie” ed ecco che il frate perde la vita. Una delle frasi scritte da Giobbe (1:21) diventa una colonna sonora ironica molto sottile, della serie “crediamo, ma non prendiamoci troppo sul serio”.

Il mare, poi, è un altro “essere” molto importante e ricorrente nel film di Fincher. Benjamin ha la sua prima esperienza lavorativa su un rimorchiatore irlandese, in mare aperto. L’acqua, nella cultura religiosa cristiana, è lo strumento che “lava” dei peccati, ma anche la punizione verso gli infedeli, i non meritevoli (vedi “Diluvio universale” e “Arca di Noè“). Ben, tra un viaggio e l’altro sul rimorchiatore, incontra Elizabeth (Tilda Swinton), un’aristocratica ex nuotatrice (un altro riferimento all’acqua). I due si frequentano di nascosto, ma la storia finisce improvvisamente quando la donna, sposata, deve partire con il marito. In una scena del film, Benjamin, grazie ad un servizio in televisione, scopre che la ormai anziana Elizabeth tornò a nuotare e riuscì ad effettuare la traversata della Manica, impresa che abbandonò anni prima.
L’acqua torna ad essere protagonista successivamente, sia quando Ben e Daisy viaggiano in barca, sia quando l’ormai “giovane” ragazzo si ritrova a viaggiare da solo. In altre scene, Benjamin guarda il sole che “si tuffa” nel mare insieme al padre ritrovato.
“Non sai mai cosa c’è in serbo per te”
A prima vista, sembrerebbe una frase come un’altra, un periodo filosofico utile ad anticipare scene particolari, magari colpi di scena o evoluzioni inaspettate. Guardando bene il film, però, ti rendi conto che è un’anafora. L’anafora è una figura retorica utile a sottolineare idealmente un concetto particolare. In Dante, ad esempio, il famoso “per me si va” ribadisce l’inevitabilità della pena per i condannati (per me si va=attraverso me). Ne “Il curioso caso di Benjamin Button”, oltre a dettare un certo “ritmo” all’interno dell’opera, sottolinea ancora una volta la grandezza dell’intervento divino, o del destino, che dir si voglia. Chi non può avere figli, ne potrebbe avere uno, chi nasce vecchio può vivere una vita tutto sommato normale e, nonostante tutto, puoi anche perdonare tuo padre.

Non voglio essere ripetitivo, ma voglio far notare una cosa molto “simpatica”, giusto per restare in tema religioso. L’anafora, originariamente, era il pane offerto per la celebrazione eucaristica.
L’orologio di Mr. Gateau
Il curioso caso di Benjamin Button è, chiaramente, un film molto particolare che richiede una dose importante di concentrazione e riflessione. Le diverse trame presenti all’interno di questa pellicola, che comunque ha una durata di circa 2 ore e 40 minuti, hanno molte sfaccettature e fungono un po’ da fiabe autonome. Uno degli esempi è la storia di Mr. Gateau, l’uomo di cui parla Daisy all’inizio del film. Gateau è un orologiaio cieco, incaricato di costruire un orologio per una stazione del treno. Poco dopo l’arrivo della terribile notizia della morte del figlio, Mr. Gateau è pronto ad inaugurare il suo bellissimo orologio.
All’inaugurazione è presente anche Teddy Roosevelt, che ammira l’imponenza e la particolarità dell’orologio: le lancette scorrono in senso antiorario. Questo nella speranza di tornare indietro nel tempo, affinché i soldati morti in battaglia tornino in vita. Quando l’orologio prende a funzionare, Benjamin viene alla luce. Poco dopo la sua morte, l’orologio fu tolto e sostituito con uno digitale.
Il messaggio, seppur sottilissimo, è un segno di protesta pacifica contro la guerra. Lo stesso Benjamin, nato il giorno della fine della Prima Guerra Mondiale, avrà un ruolo nella Seconda Guerra Mondiale insieme al capitano Clarke.